riso nero

Un museo nella capitale del riso nero italiano!

Casalbeltrame. Un piccolo centro immerso tra le risaie, a metà strada tra le città di Novara e Vercelli.

Un paesaggio caratterizzato da quei campi dove è stato fatto il primo raccolto italiano di riso nero Venere e dove è nato il riso nero Artemide, ora sulle tavole dei migliori chef del mondo. Un museo e una Fondazione che hanno come obiettivo quello di non far dimenticare il senso del lavoro, della tradizione e della fatica della nostra terra.

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Nel borgo di Casalbeltrame, in una grande corte rurale, una sorta di macchina del tempo porta indietro in un armonico insieme tra uomini e donne, padroni e salariati, animali e macchine, tutti impegnati nel lavoro della terra.

E’ questa la sede del Museo Etnografico dell’Attrezzo Agricolo ‘L Civel, dove la Fondazione Artis Pagus si occupa di conservare e divulgare la grande tradizione agricola della Bassa Novarese e delle terre del riso italiano bagnate dalle acque del Canale Cavour. Un amplissimo e scenografico spazio, all’interno dei cancelli del Cascinale dei Nobili.

E’ vegliato da una serie di cinque chiese, disposte curiosamente in ordine dalla più grande alla più piccola (sono simpaticamente definite “chiese matrioska”), in un’originale quinta architettonica che lascia a bocca aperta i visitatori in qualunque momento della giornata.

Si va dall’attuale chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, di origine romanica (e che conserva le spoglie di San Novello martire), a una più piccola chiesa di confraternita, ora sconsacrata, per finire con tre ricostruzioni delle chiesette presenti nel territorio di Casalbeltrame e ora non più esistenti: tracce di un borgo sede di antiche confraternite e, probabilmente, di una mansio templare.

Ma è sotto il grande portico che inizia il percorso: una grande galleria ospita una lunga serie di carri e attrezzi agricoli.

Gli aratri, gli erpici, i seminatori vanno da quelli più antichi e rudimentali fino a quelli ben più funzionali degli anni Cinquanta. Proprio in questa sezione, dall’allestimento tradizionale, si potrà notare il piccolo oggetto che ha dato il nome al museo: il “çivel” altro non è che il fermo per la ruota di questi carri. Uscendo dall’androne, prima di accedere al piano superiore del cascinale, è poi una melodia antica a guidare il visitatore… a suonarla è il caminant: “Anca la natura l’è come ‘na musica, è come una musica, ha i suoi ritmi. Anzi, la musica è la Natura, con tempi e melodie. I tempi sono i stagion, le stagioni e le melodie, beh… nascono dall’incontro della Natura con l’uomo. Io lo so bene… Ah, scusate: mi presento, sono al caminant, il camminante, il vagabondo cantastorie.

Adess, i’v cunti su la storia delle storie: vi conto di come si viveva, lavorava, proprio qui, in mezzo a queste campagne”.

Sembra un classico museo etnografico in mezzo alle risaie, ma “‘L çivel” è molto più di una rassegna tradizionale, di una fredda esposizione di oggetti, di una sequenza di didascalie.

Intanto ci sono per ogni visita due accompagnatori d’eccezione: il camminante, il vagabondo cantastorie tuttofare che fino una cinquantina di anni fa se ne andava per villaggi e cascine della Bassa Novarese a raccontar storie e a tramandar memorie, e una guida museale dello staff (composto da giovani operatori laureati in materie inerenti arte e musei e da guide turistiche abilitate per le province di Novara e Vercelli). Il caminant, un uomo libero e senza legami, ma con profonde radici in un territorio che conosceva palmo a palmo, è il personaggio ideale per narrare la storia di un intero anno di lavoro in mezzo ai campi, lo scorrere delle stagioni, la fatica dei contadini, gli attrezzi, le pratiche colturali, le usanze, le canzoni, la vita di tutti i giorni.

L’ambientazione del museo è molto suggestiva, elegante e arricchita da soluzioni audio e video.

Non mancano poi piccole esperienze tattili che si prestano alla visita anche di bambini, famiglie e classi. “Vi racconto di un anno… lungo e faticoso, di quando si lavorava praticamente manumà par mangé, per mangiare, per dura necessità. Ma soprattutto ìv cunti su di radis, delle radici della vita di queste terre. Una memoria che proprio grazie a questo luogo non andrà perduta”. E così si parte dall’inverno, quando la campagna è silenziosa e la terra è dura e nera e va lavorata, spezzata, concimata, preparata e poi… seminata. I rumori sono quindi ovattati, c’è il gracchiare delle cornacchie e ci sono le voci di chi vive la fredda campagna: nella ricostruzione multimediale della stalla, tra il canto del gallo e il muggito delle mucche, si sentono i racconti dei nonni, gli schiamazzi dei bambini, le chiacchiere delle donne, i commenti dei contadini.

Si passa quindi alla primavera, dove è il rumore dell’acqua a segnare il cambio di stagione e la trasformazione del territorio.

Dopo il suggestivo allagamento, ecco una vera metamorfosi di colori, dalle tenere pianticelle verdi alle messi giallo oro. Qui la colonna sonora è data dal gracidare delle rane, dal canto delle mondine, dai comandi del padrone. Audio e video raccontano la vita di centinaia e centinaia di donne, che cantavano nei campi per alleggerire le otto ore di lavoro con i piedi nell’acqua e la schiena piegata, a trapiantare (erano dette in questo caso “trapiantine” e camminavano in riga, ma all’indietro) o a estirpare le erbacce (il loro compito era “mondare”, per questo erano dette “mondine” e camminavano in riga in avanti).

Dopo una breve parentesi legata alla bachicoltura e alla lavorazione della seta, pratica diffusissima nella Bassa grazie alla crescita spontanea dei gelsi sugli argini dei fossi e dei canali, e dopo un significativo approfondimento sulle marcite, o “prati stabili”, che consentivano di raccogliere fino a sette volte l’anno l’erba da far seccare e da dare come foraggio agli animali, arriva il tempo del raccolto e dei relativi festeggiamenti.

Dopo l’estate, infatti, con i suoi colori caldi e avvolgenti, con i rumori dei macchinari delle fasi di pulitura, essicazione e sbiancatura “manuale” del riso, ecco la conclusione.

Con l’autunno l’anno contadino se ne va proprio come i carretti dei salariati con le povere masserizie e con il melanconico organetto del caminant a far da sottofondo. E’ la festa di San Martino, che in dialetto locale significa “fare trasloco”. E’ la fine di un anno e l’inizio di quello nuovo. Tutto è pronto per ricominciare dall’inizio.

La visita può essere affiancata da attività specifiche di scoperta del territorio e di degustazione di prodotti locali.

L’esperienza in museo non può infatti prescindere dall’assaggio di una paniscia o di un gustoso piatto di riso nero con il gorgonzola, ma anche dallo sgranocchiare un biscotto o un grissino di riso, bianco o nero che sia. Così come diventa importante l’esplorazione del territorio, a piedi, nel vicino giardino di Materima (che ospita una delle collezioni di scultura del Novecento più importanti del Nord italia) o in una delle aziende agricole funzionanti del paese, o in bicicletta, fino all’Oasi Palude di Casalbeltrame o verso la vicina abbazia fortificata di San Nazzaro Sesia.

La visita in museo è anche particolarmente adatta alle famiglie con bambini e alle scuole: lo staff del museo organizza infatti laboratori didattici di manipolazione riso e cereali, di gioco semplice e rurale, “come una volta”, ma anche attività teatrali e musicali interattive e progetti specifici in base alle richieste delle scuole.

info:
Fondazione Artis Pagus
tel. 0321 838375
dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12
museo@casalbeltrameonline.it

www.casalbeltrameonline.it

ORARI per il pubblico, senza prenotazione:
marzo, aprile, maggio, giugno, settembre, ottobre, novembre:

sabato e domenica 15 – 18
giorni feriali/altri orari: sempre, su prenotazione gruppi (minimo 10 persone).

Dicembre, gennaio, febbraio, luglio e agosto: aperto solo su prenotazione gruppi (minimo 10 persone).

Facebook: https://www.facebook.com/museoetnografico.lcivel/

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