Sono nata nel bel mezzo della Primavera, eppure la mia pelle pallida, i capelli rossastri, gli occhi verdi e gialli, si abbinano perfettamente ai colori autunnali.
Sono un autunno nato in primavera.
Sono partita per l’Argentina a Marzo, giusto il tempo di annusare i peschi in fiore nella via di casa, prima di piombare nell’autunno dell’emisfero australe. E poi di nuovo, ho intravisto i ciliegi argentini in fiore per poi ritrovarmi immersa in un autunnale bosco sulle Alpi Francesi.
In Sud America la Pachamama o Mama Pacha è la Dea Terra dei popoli andini, tuttora venerata dalle genti che ancor’oggi si riconoscono nella cultura Incache. Nella lingua quechua significa “madre spazio tempo” o “madre universo”, tutt’uno con madre Terra.
Le cime dei monti sono i suoi seni, i fiumi il suo latte di vita e i campi sono il suo fertile grembo.
I popoli andini dicono che dobbiamo vivere in armonia con la madre terra, lasciando che “todo fluya” come la pacha mama ha stabilito.
È affascinante pensare che la madre dello spazio tempo per tre volte mi riporti sempre allo stesso punto dell’anno.
In che fase della vita sei? Nel mio terzo autunno.
È un po’ una metafora della mia vita, del mio viaggiare: ho passato la vita a vivere di autunni.
Ogni viaggio, ha un inizio. E’ come una primavera: c’è un momento iniziale dove devi coprirti dal freddo, dove devi aumentare le difese, dove devi proteggerti dall’ignoto che ti sta accogliendo, dove devi trovare il terreno giusto per piantare i semi.
È l’inverno del viaggio, la parte più difficile, ma anche la più intrigante.
Poi impari ad adattarti, togli gradualmente la corazza, le maniche lunghe si trasformano in canottiere, cominci a sentire il calore del sole, delle persone che ti accolgono, di tutto quello che stai scoprendo. Inizi a veder sbocciare i primi fiori di tutto il lavoro che stai facendo, delle relazioni che stai costruendo.
È il momento di gustarti l’estate del viaggio, il divertimento, le abitudini, i rapporti; ma, almeno nel mio caso, l’estate non la vedo da un pezzo. Proprio a questo punto, sul più bello, ricado nell’autunno.
Devi ripartire, devi ricominciare, tutto quello che hai coltivato si trasforma in foglie colorate che pavimentano la strada. Sono ricordi bellissimi che sembrano sempre accompagnarti, ma sono caduti. Non puoi più nutrire quotidianamente quei rapporti, non puoi più coltivare quella vita.
Ti ritrovi a raccogliere le foglie.
Hai presente quando da bambini si mettevano a essiccare le foglie in mezzo ai libri? Per non perderle, per farci dei quadri, dei collage?
Beh, sento che scrivere rappresenta anche questo: chiudere ogni singola foglia in una parte del libro, per farne arte, per non perderla mai, per ricordarla sempre.
È l’altra stagione del viaggio, quella di quando si ritorna, sempre diversi, emozionati, pieni di voglia di fare e di ricominciare, ma con una nota nostalgica, quella nota autunnale, di saper che quel che hai incontrato esiste e alcune volte vorresti averlo sempre con te, ma devi imparare a lasciarlo lì, portando solo un piccolo pezzetto con te.
Viaggiare è incredibile, ma è faticoso. Non solo perché devi imparare a muoverti tra lingue e culture nuove, ma perché dopo devi imparare a ritornare a casa. Questa è la vera fatica.
Vivo di autunni, ma sono io la prima ad essere una foglia, ad essere chiusa tra due pagine di un libro per essere trattenuta. A volte dico “vorrei smettere di perdere le cose per cui ho tanto faticato, di allontanarmi dalle persone a cui ho tenuto”, ma poi mi ricordano che sono io che me ne vado, che continuo a costruire primavere per raccogliere autunni.
Questo sarà la mia rubrica: storie di primavere, che sono diventate foglie rinchiuse in una pagina.
Dal prossimo giovedì: le mie foglie Argentine.
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