Il vociare dei tanti turisti che danno vita ai sentieri e ai carruggi incomincia ad affievolirsi.
La luce radente del tramonto rende ancora più brillanti i colori dello “Sciacchetrà” che ondeggia fluido nel bicchiere e, come l’obiettivo di una macchina fotografica, ad ogni voluta inquadra il mare, la terra, le case colorate in stile genovese e il cielo di Manarola.
Le essenze della macchia e del bosco, i sentori delle erbe aromatiche spontanee e dei frutti mediterranei, l’aura balsamica e sapida del mare, rendono unica questa perla ambrata, frutto della natura, della storia e della cultura di questo borgo sospeso tra mare e terra. Mare e terra, padre e madre. Ma anche patrigno e matrigna degli abitanti di Manarola, che nelle antiche “rogazioni”, snocciolate durante le processioni che facendo tappa ad ogni edicola votiva e chiesetta, si snodavano lungo i ripidi sentieri, chiedevano protezione :”A fulgure e tempeste, a flagello terraemotus, a peste, fame et bello” (da fulmini e tempeste, dal terremoto, dalle malattie, la carestia e le guerre). In queste poche parole tutta la difficoltà della vita in questi luoghi, in cui i pericoli potevano arrivare indistintamente da mare e da terra, dalla natura e dall’uomo.
I carruggi e le ripide scale d’ardesia di Manarola, che formano geometrie degne di una composizione di Escher, sono il frutto della sovrapposizione di abitazioni e fortificazioni iniziata nel XII secolo.
Percorrendoli allo stupore e alla meraviglia suscitate dagli squarci di panorama che si aprono ad ogni svolta, si alterna il pensiero per la caparbia volontà degli abitanti di queste zone che hanno strappato alla montagna, pietra dopo pietra, spazio e terreno.
Oggi la tecnologia fornisce un aiuto sostanziale alla vita e all’agricoltura in questi luoghi, ma nei secoli passati tutto dipendeva dalla forza degli uomini e delle donne di Manarola e in generale delle Cinque Terre.
Ne sono rappresentativi il Varcu e il Pagittu:
il primo una sorta di corona di tela destinata a proteggere il capo delle donne che si caricavano sulla testa ceste, fascine e contenitori d’acqua; l’altro un cappuccio di iuta che gli uomini usavano per proteggere le spalle sotto pesi che potevano raggiungere il quintale. Due espedienti semplici quanto essenziali per la quotidianità e per la realizzazione e la coltivazione dei “cìan”: quei terrazzamenti ottenuti con la ciclopica costruzione di chilometri di muretti a secco, opera dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità.
In primavera e in estate il verde delle viti colora l’Anfiteatro dei Giganti, un vasto esempio di questo manufatto che incornicia il paesaggio di Manarola, ma in inverno tra i filari spogli si accende un enorme presepe luminoso, l’opera da guinness realizzata in mezzo secolo di paziente lavoro da Mario Andreoli.
Dalla prima metà del 1300 sorge invece nel paese inerpicato su un costone a picco sul mare, la chiesa in stile gotico dedicata al patrono di Marola: San Lorenzo. È da qui, che ogni 10 agosto prende il via una suggestiva processione, sotto le stelle cadenti, che accompagna la statua del Santo fino alla marina di Palaedo, dove viene salpata su un “gozzo” ligure per percorrere il braccio di mare fino alla marina principale del borgo, da cui fa ritorno alla chiesa.
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